Torino, sabato 14 maggio 2016
Il primo e l’ultimo
Janja Jerkov
Io non mi sono posta sul piano così complesso, raffinato e importante su cui si è mossa Luciana, mi sono fermata molto prima. Questo succede perché, quando leggo il testo di Lacan, rimango sempre presa dalle sue parole, anche da quelle apparentemente più semplici. Se mi chiedo infatti che cosa vogliano veramente dire, scopro sempre qualcosa che fa vacillare le mie implicite “certezze” e mi disorienta. La domanda contro cui mi sono scontrata nel cominciare al leggere Le moment de conclure, è – ad apertura di seminario – che cosa vuol dire Lacan quando ci dice che “un toro fa buco”?
Noi tutti sappiamo bene che un toro è, per es., una camera d’aria. Che “un toro faccia buco” sembrerebbe dunque di lapalissiana evidenza. In realtà, per rispondere a questa domanda bisognerebbe prima intendersi bene su che cosa significhi un “buco”. Evidentemente buco in Lacan è un significante che ricorre sin dagli inizi. Vi ricorderete, che già nel III seminario sulle psicosi, Lacan introduce la psicosi parlando di un soggetto che, in una fase pre-psicotica, ha la sensazione di essere sul bordo di un buco, il famoso buco al posto del Nome del Padre:
« Nous pouvons prendre au prendre au pied de la lettre ce que nous voyons… Il ne s’agit pas (…) de comprendre ce qui se passe là où nous ne sommes pas. Il ne s’agit pas de phénoménologie. Il s’agit de (…) concevoir, non pas d’imaginer (…) ce qui se passe pour un sujet quand la question lui vient du trou, quand le départ vient de là où il n’y a pas de signifiant, quand c’est justement le manque qui se fait sentir comme tel.»(1)
C’è poi un altro luogo dove, sempre in questa fase “aurorale”, sembrerebbe che mancanza e buco coincidano. Poi evidentemente per lui non sarà più così: nel seminario successivo del ’62 sulla relazione d’oggetto. In questo seminario c’è una frase, che io trovo molto bella, a proposito del piccolo Hans. Lacan dice che il piccolo Hans porta la sua questione lì dov’è, vale a dire nel punto in cui qualcosa manca e là domanda la ragione di questo, la ragione di questa mancanza ad essere.
Il [Hans] porte la question là où elle est, c’est à dire au point où il y a quelque chose qui manque. Et là, il demande où est la raison, au sens où on dit raison mathématique, de ce manque d’être. […] Ne l’oubliez jamais, le signifiant n’est pas là pour représenter la signification, bien plutôt, est-il là pour compléter les béances d’une signification qui ne signifie rien. C’est parce que la signification est littéralement perdue […] que les cailloux du signifiant surgissent pour combler ce trou ou ce vide.»(2)
Non dimentichiamolo mai: il significante non è lì per rappresentare la significazione, ma è lì per completare le beanza di una significazione che non significa niente. È perché la significazione è letteralmente perduta che i sassolini del significante sorgono per colmare questo trou, questo buco o questo vuoto.
Allora mi domandavo, un poco sulla scorta di quello che Renata aveva posto come ovvia questione agli inizi: è lo stesso buco quello di cui Lacan parla agli inizi e alla fine della sua vita? Mi sono insomma interrogata: che cos’è questo buco e perché a Lacan interessa il buco nel toro? Anche su questo Renata ci ha fatto un rapido cenno. Una cosa che per me agli inizi non era proprio evidente è ciò su cui abbiamo lavorato a Roma: quando noi parliamo di toro, non parliamo mai di un toro isolato, ma di un toro sempre allacciato. Non sto riferendomi al punto in cui è arrivata Renata ricordando la questione di un toro dentro l’altro. Io parlo proprio dei prolegomeni… Un toro allacciato vuol dire che c’è il toro del soggetto e il toro dell’altro e che i due tori allacciati esprimono la relazione del soggetto con l’altro.
Se noi dobbiamo dire qualcosa del toro, diciamo che il toro è una superficie con un vuoto centrale, un vuoto interno. Allora, intanto il vuoto centrale e il vuoto interno li possiamo definire buchi. Ricordiamoci che la differenza tra vuoto e buco è che il buco è limitato da un bordo. Questo bordo, per quanto riguarda il toro, è il bordo della significazione fallica.
La questione del buco centrale… Parliamo sempre del soggetto e dell’altro, ma il soggetto dov’è? Perché noi il soggetto nella psicoanalisi dell’inconscio non è che ce l’abbiamo, non vediamo il soggetto andare a spasso per la strada. Il soggetto tenderei a dire che è una funzione, ne possiamo solo cogliere gli effetti. Il soggetto non lo agguantiamo, non ha un’essenza quindi… Il soggetto, in ciascuno dei due tori, è rappresentato dal vuoto, non quello centrale ma quello periferico, quello chiuso dalla parete, da questa superficie.
E quindi la questione della superficie. Nella mia difficoltà ad orientarmi nella topologia sono sempre rimasta impigliata nei disegni del toro. Ho sempre pensato il toro come una figura tridimensionale, mentre ho capito dopo che il toro vale per i suoi buchi e vale per la sua superficie. Va bene soprattutto come superficie. Questa superficie attorno alla quale i giri della domanda si annodano, facendo il famoso giro in più che è il giro del desiderio.
C’è una frase de L’ètourdi, siamo nel ’72, in cui Lacan dice che un toro ha buco centrale o periferico solo per chi lo guarda come oggetto, non per chi ne è il soggetto:
« Un tore n’a de trou central que pour qui le regarde en objet, non pour qui en est le sujet … »(3)
Ho pensato: questo è quello che facevo io quando mi immaginavo il toro come una ciambella. Il toro-ciambella è il toro come oggetto, ne vedo il buco. Non vedo invece il buco di tutti i discorsi che abbiamo fatto oggi, del mio reale, del rapporto del mio essere soggetta all’Altro.
Mi sono anche chiesta se, a proposito della relazione del toro con l’altro, non si trattasse in fin dei conti di una modalità efficace di presentazione del rapporto nostro con quest’Altro – che è in primo luogo una questione di fantasma. Quando, insomma, io mi pongo rispetto all’Altro chiedendogli dentro di me “che vuoi?”, cercando di essere l’oggetto che immagino che l’Altro voglia che io sia per lui. Penso che nel toro possiamo effettivamente identificare gli elementi del fantasma perché lo spazio dell’oggetto è quello dello spazio centrale, lo spazio periferico potrebbe essere lo spazio del soggetto e a questo punto, la superficie del toro diventa il punzone, ciò che impedisce che soggetto e oggetto facciano Uno. È un’ipotesi, anche questa, che però mi serve per riportare al noto ciò che tanto noto non mi è. Infine mi chiedevo anche a che serva andare a porre tutta la questione del rovesciamento del toro. A Roma abbiamo lavorato sulla questione ponendola in relazione al cambiamento di discorso che avviene agli inizi di un’analisi. Forse la questione del rovesciamento del toro è importante da cogliere perché nel rovesciamento del toro che cosa succede? Se noi ci mettiamo dal punto di vista del toro del soggetto, il taglio e il rovesciamento fanno sì che ciò che prima era lo spazio centrale dell’oggetto diventi con il rovesciamento lo spazio del soggetto e che ciò che era prima lo spazio del soggetto prenda il posto dello spazio dell’oggetto. Cioè con il rovesciamento del toro si invertono le due funzioni del soggetto e dell’oggetto.
Allora, ci dicevamo che questo rovesciamento presenta ciò che può succedere alla fine dei colloqui preliminari, quando un paziente che arriva con il suo immaginario e i suoi bla bla, di fronte al silenzio dell’analista, al muro dell’analista, pur di non perderne l’amore, opera un rovesciamento del proprio discorso e parla finalmente di altro, cominciando a interrogarsi su in che cosa lui è implicato nei propri sintomi. Mi sono anche chiesta se, a parte la faccenda dei colloqui preliminari nella relazione analitica, il rovesciamento delle posizioni di soggetto e oggetto per l’altro non possa accadere in qualunque relazione dell’amore. Vi ricordate che Lacan diceva che ogni cambiamento di discorso può avvenire solo con l’amore? Mi sono da ultimo chiesta se non sia lecito dire che nella relazione del soggetto, del toro del soggetto con l’altro toro, non sia soprattutto di un piccolo altro che si tratta perché il grande Altro c’è sempre evidentemente sullo sfondo altrimenti saremmo psicotici. Per Lacan il toro è sempre del nevrotico, però mi domando se l’altro del secondo toro allacciato non sia in primo luogo un piccolo altro, con tutto quello che ne consegue di difficoltà nel vivere insieme.
Notes
1 J. Lacan, Les structures freudiennes des psychoses. Séminaire 1955-1956. 18 avril 1956.
2 J. Lacan, La relation d’objet. 1959-1957. 15 mai 1957.
3 J. Lacan, L‘Étourdit. « Scilicet”, 4, 1973, p. 42.